Il “Conte” Lee, a dispetto dei suoi 75 anni, ha un entusiasmo e una vitalità impressionanti, e non ha perso nulla di quel carisma che ne fece, ai tempi della gloriosa Hammer, il vampiro più famoso del mondo cinematografico. Lee parla correttamente e senza accento cinque lingue, fra cui l’italiano, e italiane sono anche le sue origini (il suo vero nome è Christopher Carradini), cosa che non manca mai di sottolineare con un certo orgoglio. La sua filmografia è incredibilmente variegata, avendo egli interpretato oltre 300 film ed essendosi cimentato in ogni ruolo possibile per un attore, con risultati che vanno dal ridicolo al sublime. La carriera di Lee inizia a Londra (sua città natale) quando, all’età di 24 anni, prende parte a un film del 1946 diretto da Terence Young, dal titolo “Corridor of Mirrors”. In esso è presente solo in una breve scena all’interno di un night-club, mentre beve un drink assieme ai personaggi principali della pellicola, senza dire neanche una battuta. In seguito ebbe altri piccoli ruoli in produzioni di poco interesse, fino al grande successo ottenuto con “Dracula il Vampiro” (“The Horror of Dracula”) nel 1957 sotto la guida di Terence Fisher, il regista cui forse Lee deve più di ogni altro nella sua carriera. Durante il periodo trascorso nella prestigiosa scuderia della Hammer, Lee creò insieme a Peter Cushing (altro attore di scuola inglese) uno dei sodalizi più memorabili nella storia del cinema Horror. La prima volta che i due recitarono insieme fu nel film di Fisher “La Maschera di Frankenstein” (“The Curse of Frankenstein”) dove Lee, coperto da un pesantissimo trucco, interpretava la parte del mostro e Cushing quella del suo creatore. In seguito sono stati eterni nemici nella serie di Dracula (Cushing era il cacciatore di vampiri Van Helsing) e in altri film minori. L’ultima volta che ritroviamo insieme i due “grandi vecchi”, è nel film “La Casa delle Ombre Lunghe” (“House of the Long Shadows”) del 1983 (che segna anche l’ultima apparizione cinematografica di Cushing), in cui il regista Peter Walker ha riunito i nomi più illustri del cinema horror (nel cast anche John Carradine e Vincent Price) per un’opera dal povero contenuto narrativo ma di grande e sicuro impatto emotivo per ogni appassionato di horror degno di chiamarsi tale. Benché il suo nome sia indissolubilmente legato al personaggio di Dracula, Lee ha vestito più volte sullo schermo i panni di Fu Manchu (a mio parere uno dei momenti più ridicoli della sua carriera), Sherlock Holmes e Rasputin, il monaco folle. Se gli si chiede quale sia il film che preferisce del suo ricco carnet, Lee risponde senza esitazione “The Wicker Man”, un film inglese del 1972 diretto da Robin Hardy e incentrato su una storia di stregoneria e sacrifici umani in una piccola isola della Scozia. Lee ha lavorato spesso anche in Italia e ricorda con molta stima e affetto il regista Mario Bava, che lo diresse in “Ercole al centro della Terra” e, soprattutto, ne “La Frusta e il Corpo” del 1963, un film bellissimo ma ingiustamente perseguitato dalla censura, che ne tagliò alcune scene stravolgendone il significato. L’ultima apparizione di Lee sugli schermi italiani risale al 1989, nel film “L’avaro”, tratto dall’omonima commedia di Molière ed interpretato da Alberto Sordi. Da ricordare, nel 1972, la fondazione di una propria casa di produzione, la CHARLEMAGNE FILMS, dalla storia breve e travagliata. Attore di grande presenza scenica, con una naturale predisposizione per i ruoli da “villain”, Lee non è mai stato un buon amministratore di se stesso, prestando il suo talento a registi di ottimo livello come Spielberg (“1941”) o Joe Dante (“Gremlins 2” in un divertentissimo cameo), accanto a vari esponenti del più abietto trash-cinema, come Jess Franco (lo ricordiamo in una versione di Dracula diretta da Franco, notevole per essere uno dei più brutti film di Lee e forse il migliore di Franco), parodiando con ironia se stesso e la sua carriera (vedi “Dracula Padre e Figlio”, 1975 di Edouard Molinaro, produzione francese) ma, spesso, non rinunciando mai ad un ragionevole cachet. Di sicuro, benché la storia cinematografica di Lee sia molto al di sotto delle sue potenzialità, egli è e rimane uno dei pochi miti “umanizzati” del fantastico, vera icona del cinema horror ed eterno, temibile Principe Delle Tenebre.
-Mr. Lee, ultimamente sembra che il cinema fantastico la interessi poco, le sue ultime pellicole trattano infatti temi più “tradizionali”.
-In effetti mi sono molto allontanato dal genere fantastico, ma non per una scelta personale, bensì per una carenza di buoni copioni capaci di suscitare il mio interesse. Aspetto che qualcuno mi proponga una buona storia, sia essa di fantascienza, horror o fantasy, ed io sicuramente non mi tirerò indietro.
-Il personaggio di Dracula le ha permesso di divenire famoso in tutto il mondo, eppure Lei sembra non essergli molto legato, è vero?
-Io rispetto tutti i film che ho interpretato, soprattutto quelli del periodo Hammer, ma Dracula rappresenta solo un momento della mia carriera nella quale ho girato oltre 300 film. Sono fiero di quel ruolo ma non voglio morire come Bela Lugosi, legato esclusivamente a un personaggio, a un film. Personalmente credo di aver dato molto al personaggio, accentuando l’aspetto erotico che, precedentemente, era stato quasi del tutto ignorato.
-Quali sono i film ai quali si sente maggiormente legato?
-Credo che il mio miglior film sia “The Wicker Man”, è una pellicola poco conosciuta in Europa ma considerata di culto negli Stati Uniti. Sono anche molto legato al personaggio di Scaramanga, il cattivo de “L’Uomo dalla pistola d’oro”, il Rochefort de “I Tre Moschettieri”, o al monaco folle “Rasputin”, che ho portato sullo schermo per conto della Hammer.
-Come mai non ha menzionato “La Maschera di Frankenstein”, il bellissimo film Hammer che la vede per la prima volta al fianco di Peter Cushing?
-Il film era indubbiamente ottimo, e poi mi ha dato la grande possibilità di lavorare insieme con Peter (Cushing), una delle migliori persone che abbia mai incontrato, un amico insostituibile e di grande levatura morale. Non ricordo con particolare affetto il film a causa del pesante make-up, che mi costrinse a recitare in uno stato di grande disagio. Ricordo che il primo giorno delle riprese entrai completamente truccato nel camerino di Peter dicendo: “guarda qua, tutto questo sacrificio e non dico nessuna battuta nel film, non una singola parola!” ero molto seccato e lui mi rispose con lo humour inglese che lo distingueva “sei fortunato, io ho letto lo script”. Peter era sensazionale, ricordo che, essendo entrambi dei fan dei cartoni animati della Warner Bros, scherzavamo spesso dandoci dei nomignoli presi dalle serie a cartoni. Io, per la cronaca, ero semplicemente “Sylvester” (gatto Silvestro).
-Credo che anche “La Mummia” sia stato un ruolo impegnativo dal punto di vista del make-up…
-Indubbiamente! Durante quel film mi successe di tutto: mi sono slogato i muscoli del collo portando Yvonne Furneaux in braccio attraverso una palude, inoltre mi sono slogato una spalla mentre abbattevo una porta che qualche burlone aveva chiuso dall’interno.
-Ha qualche ricordo particolare di Terence Fisher, il grande regista che lavorava per la Hammer?
-Terence era un gran professionista, un artista non sempre apprezzato in giusta misura. Ha fatto cose incredibili, anche considerando le limitate possibilità tecniche offerte dal periodo. Credo che la maggior parte dei registi moderni non avrebbe potuto realizzare ciò che Terence ha fatto, non senza la tecnologia a disposizione. Mi dispiace che non abbia mai ricevuto l’attenzione che si meritava da parte della critica.
-Mr. Lee c’è una voce secondo la quale suo cugino Ian Fleming si sia ispirato alla sua vita per creare il personaggio di James Bond, in quanto lei sarebbe in realtà un agente segreto. Tesi avvalorata dal fatto che parla cinque lingue correttamente e senza accento.
-Sì, ho sentito molte volte questa voce. Che le devo dire: se fosse vero non potrei mai ammetterlo, perché violerei il mio giuramento di agente segreto; se non fosse vero non potrei mai dire il falso.. quindi le rispondo semplicemente: No.
-Lei ha origini italiane, è vero?
-Sì, il mio bisnonno era un nobile emiliano che di cognome faceva Carandini. A quanto ne so ad un certo punto scappò in Tasmania dove sposò una minorenne e si dedicò alla recitazione.
-Ha anche lavorato spesso in Italia, che ricordo ha del regista Mario Bava?
-Bava era fantastico, un vero artigiano del cinema, sempre pronto ad inventare cose nuove, a realizzare dal nulla opere ricche di fantasia. Era anche molto divertente come uomo, al punto che una volta gli suggerii di fare l’attore comico. Era anche un grandissimo direttore della fotografia, non per nulla lavorò anche con Fellini. Con lui ho fatto un film a cui tengo molto dal titolo “La frusta e il Corpo”, un opera complessa e piena di tensione erotica. Purtroppo il film ebbe delle inspiegabili grane con la censura, che ne tagliò tante scene fino a rovinarlo. Ho anche girato “Ercole al centro della Terra”, dove mi sono divertito un mondo insieme all’attore che interpretava Ercole, Reg Park: ci mettevamo a ridere e non riuscivamo più a fermarci.
-Con quali altri registi ha lavorato in Italia?
-Diversi: al momento mi viene in mente Camillo Mastrocinque, con il quale ho girato “La Cripta e L’incubo” nel 1964, Stefano Vanzina che mi ha diretto in una buffa parodia chiamata “Tempi duri per i Vampiri” a fianco di un attore italiano molto simpatico di cui non ricordo il nome (era Renato Rascel, N.d.A.). Poi Cervi per “L’Avaro”, che mi ha lasciato un brutto ricordo, perché sul set recitavo in presa diretta in un italiano che tutti dicevano essere perfetto, poi sono stato doppiato da una voce anonima.
-Cosa ne pensa del cinema fantastico, Horror in particolare, moderno?
-Sinceramente non lo conosco. Non mi piacciono i film troppo espliciti, violenti, dove non viene lasciato nulla alla fantasia dello spettatore. Il vero cinema dell’orrore, per essere spaventoso, deve far intuire, immaginare, deve minacciare di mostrare cose orribili senza mai farlo, almeno non completamente. Solo così si raggiunge quella dimensione di tensione che crea il giusto risultato.
-Come si è trovato a lavorare in America con Spielberg (1941) e Joe Dante (Gremlins 2)?
-Molto bene, devo dire che sono stato accolto con molto affetto. Ho scoperto che Spielberg e Dante sono dei miei grandi ammiratori, conoscono tutti i miei film. Dante, in particolare, mi diceva: “fai la stessa espressione che avevi in quel tale film, muoviti come in quella scena di quell’altro..”. Mi metteva in imbarazzo, citava momenti di film che io neanche ricordavo.
-A proposito di film “minori”, lei ha recitato anche in produzioni scarsamente organizzate, per film decisamente mal fatti: c’è qualche titolo che vorrebbe cancellare dalla sua filmografia?
-Forse qualcosa ci sarebbe, o, meglio, non la rifarei. Alla fine, l’unica considerazione che posso fare è che io sono un attore, sono pagato per recitare e, anche se ho fatto qualche sbaglio, è solo il mio lavoro, non è una cosa di importanza mondiale. Tutto sommato sono soddisfatto della mia carriera, anche perché la gente ancora oggi mi ferma per strada, e spesso sono ragazzini che non erano neanche nati quando ho girato “Dracula”, chiedendomi l’autografo, e ciò lo devo anche ai film “minori”.
Luigi De Angelis